Nella cornice di Volterra, una delle più antiche città d’Italia e autentica perla della Toscana, a partire dal 1979 ha iniziato a comporsi il quadro di una splendida storia famigliare che ha visto Genuino ed Ivana, genitori Abruzzesi di Claudia Del Duca, trasferirsi da Teramo in questo territorio per costruirsi il proprio futuro.
Sviluppare e gestire l’albergo-ristorante “Il Vecchio Mulino” (1991), avviare e dare lustro al ristorante-enoteca “Del Duca” (2001) sono entrambe sfide che, questa famiglia unita, ha già vinto in quei luoghi prima di lanciarsi nell’ultimo progetto, probabilmente il più ambizioso: “Podere Marcampo”.
Visione dinamismo e coraggio non mancano in casa Del Duca e la giovane Claudia, con entusiasmo e competenza, svolge ora un ruolo cruciale nel contribuire al positivo proseguo di questo lungo ed entusiasmante progetto centrato sui valori della propria terra. Vinando ha voluto conoscerla.
Ciao, nel 2003 avete acquistato un antico casolare del 1.700 in stato d’abbandono che ora è diventato “Podere Marcampo”; un esempio virtuoso di recupero del patrimonio locale. Raccontaci difficoltà e successi di questa sfida.
La mia famiglia al tempo era già impegnata nella ristorazione, un mondo fatto di enormi sacrifici, sotto tutti i punti vista, da qui la volontà dei mei genitori di costruirsi un privato di maggiore qualità partendo dall’acquisto di un casolare/fattoria abbandonato. Ne segue un minuzioso recupero pietra su pietra, un lavoro duro ma che ci ha restituito finalmente qualcosa di pienamente nostro e trasmettibile anche alle future generazioni.
“Podere Marcampo” ora non è solo l’abitazione di famiglia ma anche un curato agriturismo con cantina, un luogo speciale dove poter soggiornare apprezzando il territorio e degustando i nostri vini.
Spesso si parla di “terreni vocati” ma sempre centrale rimane la capacità dell’uomo, con il suo intervento, di elevarne la qualità produttiva. Nelle vostre terre, alcuni metri sotto la superfice, c’è il sale lasciato dal mare, mentre nei primi metri un concentrato di argilla mista sabbia; suoli poveri. Come avete affrontato questo aspetto?
Ci troviamo tra grandi territori del vino come Chianti, Colli Senesi, San Gimignano e Bolgheri ma i terreni delle nostre terre, in epoca moderna, sono stati sfruttati per pascolo e seminativo; solo gli Etruschi qui vinificavano in passato.
In generale ritengo si possa parlare di terreni più fertili ed altri meno mentre il fattore chiave rimane il clima quando parliamo di “vocazione”; qui a Volterra crediamo vi sia la possibilità di fare degli ottimi vini perchè il clima ci sostiene. Alcune buone pratiche agronomiche abbinate ad un lavoro oculato in cantina sono la base per arrivare ad una proposta di vini importante che stiamo cercando di migliorare di anno in anno.
Autenticità e territorialità sono tratti distintivi di molti progetti enologici attuali; nei vostri piani però vi sono anche l’introduzione di tipologie meno diffuse da voi come spumanti “metodo classico” piuttosto che vini non toscani come l’Incrocio Manzoni. In quale strategia rientra questa vostro scelta?
Ad oggi abbiamo 5 ettari di vigneti coltivati a Vermentino, Sangiovese e Merlot, tutti lavorati esclusivamente a mano. Da febbraio di quest’anno abbiamo inoltre iniziato un nuovo percorso enologico che coincide anche con la nostra prima produzione di vini quali il Ciliegiolo Rosato e il Pugnitello che vanno a completare la nostra gamma.
Crediamo che da questi vitigni, come del resto da altri non autoctoni vedi l’Incrocio Manzoni, possa arrivare la miglior proposta qualitativa pertanto ora vogliamo esplorare questa strada fino in fondo concedendoci l’opportunità di sperimentare.
Qual è la tua formazione e il ruolo che ricopri in azienda?
Ho frequentato l’Università di Pisa prendendo una Laurea Triennale alla Facoltà di Lingue, successivamente, a Genova, mi sono specializzata in Comunicazione Internazionale; parlo molto bene il russo aspetto questo che avrebbe potuto proiettarmi lavorativamente all’estero.
Nel mio destino però c’era il progetto famigliare di “Podere Marcampo” e ora posso dire che abbracciarlo è stata la scelta migliore per me; in questo sono coinvolta su tutti gli aspetti aziendali ovvero campagna, cantina, ma anche maitre e sommelier a cena nel ristorante in paese.
Nelle fasce di consumatori più giovani (Millennials e Generazione Z) comunicare il vino puntando sulle emozioni è molto più efficace che basare una comunicazione unicamente sulle sole caratteristiche dei prodotti. Confermi questa tendenza? Voi che approccio avete?
Strutturare una buona comunicazione del vino sul piano strategico e poi operativo non è facile per le piccole/medie aziende. Noi cerchiamo di curare bene delle iniziative puntuali, come ad esempio meeting con la stampa o esperienze di degustazione; nel contempo siamo attenti a pubblicare nella rete contenuti che intercettino particolari momenti di empatia con protagonisti i nostri ospiti piuttosto che l’ambiente circostante.
Non c’è dubbio che vivere il territorio e provare di persona i frutti della sua terra è la miglior forma di marketing possibile per le aziende del nostro settore pertanto è su questo che spendiamo una buona parte delle nostre energie
Podere Marcampo può definirsi un’azienda vitivinicola diversificata. Come equilibrate le vostre diverse proposte tra ricettività, vendita vino/olio ecc. I termini comunicativi, ci sono aspetti ai quali date prevalenza?
La diversificazione dell’offerta ci ha permesso spesso di superare le difficoltà e questo non è poco, penso ad esempio all’ultimo periodo legato all’emergenza covid. Certo per noi il vino è l’elemento trainante ma se il progetto legato ad esso viene sostenuto da altre attività affini e coerenti tra loro, come nel nostro caso, si creano sinergie vincenti che consolidano l’azienda rafforzandola in tutti gli aspetti della considerazione ma anche economici.
Il tuo percorso nel settore del vino è in pieno sviluppo; qual è stato fino ad oggi il momento più difficile e quali gli obiettivi che ti sei posta per il futuro?
L’inizio in azienda è stato sicuramente il periodo più ostico per me; oltre a dover apprendere il mestiere, con tutto ciò che questo comporta, devo ammettere che esternamente ho spesso subìto il fatto di essere “giovane donna”; spesso ho dovuto lottare per farmi valere, per far emergere la mia competenza abbattendo ogni tipo di pregiudizio. Su questo aspetto in Italia c’è ancora strada da fare.
La gratificazione invece arriva ogni volta che gli sforzi intrapresi negli anni, i messaggi promulgati con costanza, le proposte da noi offerte vengono percepite e riconosciute dal cliente che ci premia direttamente dimostrandocelo oppure divulgando ad altri ciò che siamo; sono autentici momenti d’orgoglio per noi che ci ripagano dandoci la giusta motivazione per andare avanti.
Sulla base della tua esperienza personale, qual è la chiave di volta, la più grande barriera da superare per poter intraprendere al meglio un proprio percorso di realizzazione professionale?
Scoprire ciò che più ti appassiona, dedicarci anima e corpo (specie all’inizio) perseverando quanto più possibile; l’obiettivo è trasformare questo tuo interesse nel lavoro della tua vita. Non ci può essere realizzazione più grande secondo me.
Grazie Claudia per aver condiviso con noi le tue passioni ed i tuoi progetti nella speranza di vederci presto nel vostro podere!
Post di: Emanuele Ciot