Nel cuore delle Langhe una famiglia di viticoltori, da tre generazioni, sta scrivendo una storia di passione, tradizione e innovazione che ci siamo fatti raccontare direttamente da Giulio Abrigo giovane rappresentante, con il fratello Sergio, della cantina Giovanni Abrigo.
Ci troviamo a Diano d’Alba nell’azienda fondata dal nonno Giovanni che, nel lontano 1968 con la moglie Maria, proveniente da Treiso si trasferì in questo piccolo borgo a sud di Alba acquistando una vecchia cascina e convertendola in allevamento di animali e coltivazioni varie tra le quali l’irrinunciabile produzione di vino Dolcetto.
Verso la metà degli anni ’80 anche il figlio Giorgio Abrigo inizia ad occuparsi delle attività e, in particolare, si spende nell’impianto di nuove vigne nei terreni meglio esposti e più vocati; la moglie Paola, nel frattempo, si occupa della parte burocratica promuovendo nel contempo lo sviluppo commerciale dei vini e dell’identità aziendale. Nel 2013 inizia la coltivazione di Nebbiolo in comune di Novello per la produzione di Barolo “MGA Ravera”, che si andrà ad aggiungere alle altre importanti etichette dell’azienda. Oggi sono 15 gli ettari di varietà autoctone allevate ovvero: Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Favorita e Arneis. La maggior parte di queste sono in prossimità del centro aziendale, altre invece sono ubicate a pochi chilometri di distanza nei comuni di Grinzane Cavour, Roddi e Novello.

Nel nuovo millennio sono subentrati anche i figli Giulio e Sergio che, conseguiti i diplomi alla scuola enologica di Alba, apportano in azienda la stessa passione dei loro predecessori. Questo dona nuova linfa e stimoli a Giorgio e Paola, che negli anni successivi, investono considerevoli risorse nell’acquisizione di nuove vigne e nell’ampliamento della cantina ultimato nel 2019 adottando particolari criteri di attenzione all’ambiente ed integrazione al paesaggio. Nella coesa squadra aziendale importante è anche la figura del giovane collaboratore Luca, quasi un terzo fratello in vigna per Giulio e Sergio.
Un tratto distintivo della famiglia Abrigo è la grande connessione tra le diverse generazioni che la compongono: alla solida tradizione personificata tutt’oggi dalla nonna sempre pronta ad accogliere i visitatori, si affianca la forte identità di genitori e figli che, forti delle competenze derivanti dagli studi scolastici, hanno potuto fin dagli albori vivere come una “questione personale” la missione di fare vino occupandosene da sempre in prima persona. Diventa quindi facile comprendere come e quanto possano essere identitari i vini che li rappresentano.

Sono entrato in contatto con questa famiglia al Mercato FIVI di Bologna nel novembre scorso. La porta d’accesso alla loro realtà è stata un calice versatomi da Sergio al suo banchetto, il Dolcetto di Diano d’Alba Superiore 2022 “Garabei”: complessità ed eleganza sorprendenti. Volevo saperne di più.
Come avviene (aimè) per altri territori del vino in Italia non è facile districarsi tra le numerose denominazioni esistenti, questo vale anche per il Dolcetto per il quale è tuttavia importante comprendere il particolare significato delle tre DOCG che gli appartengono: Diano d’Alba, Dogliani e Ovada. È solamente in questi territori infatti che la DOCG tutela il Dolcetto destinandolo ai migliori appezzamenti e preservandolo dagli effetti della “Nebbiolizzazione” del territorio; il risultato eccelso nel calice ne è poi la diretta conseguenza per queste che da sempre sono zone di elezione per le uve Dolcetto, un prestigio acquisito dal lavoro di generazioni.
In ciascun territorio ho sempre avuto un debole per quei vini storici che da sempre accompagnano i quotidiani passi della vita contadina attraversandone insieme ogni epoca tra momenti di difficoltà ed alterne fortune; il Dolcetto è uno di questi. Con la sua semplicità e ricchezza questo vino nasconde l’anima più vera delle Langhe ed anche un caposaldo irremovibile nella proposta enologica della famiglia Abrigo. Approfondirne la conoscenza, in casi come questo, diventa l’inizio di un percorso diretto a meritarsi “un nuovo amico”, un compagno speciale insieme al quale scoprire storie passate e condividere valori autentici e senza tempo.

Il Dolcetto è il terzo vitigno più coltivato in Piemonte (7,4% del territorio) dopo la Barbera (24%) ed il Nebbiolo (16%); nelle Langhe, da tempo memore, è quel vino presente in ogni tavola che è entrato a far parte della cultura di questi luoghi, per come si esprime ma anche per il suo “modo d’essere” semplice e diretto. Spesso sappiamo che la vite è maestra di vita e, proprio nelle difficoltà, sa esprimere il meglio di se: questo vale in particolare per il Dolcetto che sembra districarsi con agio tra terreni scarni, carenza idrica, colline ventilate ma anche (e soprattutto) affondando le radici in quelle preziosi zolle che compongono la “miracolosa piastrella delle Langhe” (cit. Roberto Cipresso).
I cinque ettari di Dolcetto della famiglia Abrigo abbracciano l’area circostante la cantina ricadendo quasi tutti nella menzione “Sorì dei Crava”. Tra le sei parcelle che compongono questo vigneto la più antica ed anche pendente è quella chiamata Garabei con le sue vigne antiche che danno vita all’omonima etichetta ovvero il “Dolcetto di Diano d’Alba Superiore DOCG – Garabei; questo vino rappresenta la massima espressione aziendale del Dolcetto vivendo di una propria identità specifica dettata da una macerazione un po’ più lunga della tradizione e un affinamento di (minimo) 12 mesi in bottiglia prima dell’uscita in commercio. Un vino complesso e dalla profonda tannicità che eleva il Dolcetto al suo massimo potenziale. Le altre due interpretazioni proposte sono quelle del Dolcetto di Diano D’Alba DOCG – Sorì dei Crava”, un Dolcetto tradizionale ed autentico ed il blend da diversi vigneti Dolcetto di Diano d’Alba DOCG.

A questo punto vien da chiedersi… ma cosa sono questi sorì? Si tratta di particolari appezzamenti che si distinguono per una favorevole esposizione al sole, buona ventilazione, particolare altitudine e terreni non troppo evoluti; il termine sorì è la versione dialettale di “solatio” ovvero “esposto al sole”. A Diano d’Alba sono 76 e, dal 2010, possono essere citati in etichetta come MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) in rappresentanza delle colline più vocate di queste terre.
“Il sapere contadino con le sue antiche pratiche e le varietà agricole tipiche del territorio rappresentano il nostro vero patrimonio”
Giulio Abrigo
Raccolto il valore dell’opera quotidiana di questa famiglia, dei suoi vini ma non solo (vedasi anche i 10 ettari di noccioleto coltivati) chiedo a Giulio quali siano le principali sfide che prevede di affrontare da viticoltore nel prossimo decennio e, anche qui, gli intenti sono chiari come emerge dalle sue parole: “Credo sarà cruciale recuperare le buone pratiche dei nostri nonni sforzandoci di fruire in modo più consapevole delle risorse che abbiamo a disposizione. Questo significherà, innanzitutto, dover adottare criteri di circolarità nei processi aziendali e il riprendere a coltivare certe varietà agricole ora abbandonate nell’intento di ricostituire le nostre antiche tradizioni e preservare l’equilibrio dell’ambiente che, oltre ad ogni cosa, rappresenta il nostro vero patrimonio”.
Quelle di Giulio sono considerazioni di un giovane responsabile che, insieme al fratello Sergio e con la vicinanza di una famiglia salda nel supportarli (anche e soprattutto negli sbagli), stanno affrontando le diverse sfide di questo tempo in modo graduale ed oculato, con equilibrio; tra queste, in particolare, l’aumento di temperatura come conseguenza del cambiamento climatico e la salvaguardia del patrimonio tipico della loro terra da affrontare resistendo alle tentazioni della monocoltura piuttosto che allo stravolgimento morfologico della campagna. La strada è tracciata.
Viaggiando in questi anni con Vinando abbiamo imparato, nel tempo, a conoscere molti giovani vignaioli che, per dedizione alla propria passione ed ai propri obiettivi, possono rappresentare per diversi aspetti un esempio per tutti i coetanei ma non solo. In fondo poche cose possono essere più gratificanti di lavorare e spendersi per la propria terra e questo rappresenta una motivazione unica che riempie di luce i loro sguardi ed i loro racconti. Una luce che sanno alimentare con costanza dedicando al loro lavoro le migliori energie ma anche il giusto tempo, pause comprese… come del resto ama fare Giulio ritirandosi saltuariamente in Sorì dei Crava all’ombra di un albero da frutto oppure concedendosi un’uscita con la propria famiglia in qualche anfratto incontaminato sulle sponde del fiume Tanaro. Noi, li supportiamo.
Post di: Emanuele Ciot
Con questa storia consiglio:
🎵 Via con me – Paolo Conte
📍 Sponde del fiume Tanaro – Clavesana (CN)