La Sardegna. Un mix irresistibile di storia, artigianato, enogastronomia, un qualcosa di unico che resiste da secoli trovando radici in un popolo forte e molto legato alla madre terra.
L’animo sardo è silenzioso, determinato e radicato alle proprie origini contadine, persone disponibili a chi si avvicina alla loro terra senza pregiudizio; vi sono molti tratti di similitudine tra questa gente ed i miei conterranei friulani ed è forse per questo che, da tempo, speravo nell’opportunità di approfondirne la conoscenza.
Si dice che quando desideri una cosa poi questa succeda davvero ed ecco infatti arrivare la conoscenza di Marco Canneddu a spalancare l’opportunità da tempo attesa. Marco è un ragazzo cresciuto accompagnando fin da piccolo il padre tra le vigne di Mamoiada, lunghe giornate trascorse tra filari di vite sottraendo tempo al gioco e per questo inizialmente avverse. L’età adulta è ora invece quella tipica di un artigiano della terra che ha trasformato la sua curiosità per la vigna prima in passione e poi in lavoro della propria vita da supportare con etica e sacrificio.
La laurea in enologia è stata per lui un passaggio naturale per assecondare la preziosa volontà “di saperne di più”, capire in profondità tante azioni che lavorando in campagna e in cantina con il padre, eseguiva da sempre con perizia ma senza averne il pieno controllo.
Dove siamo esattamente? A Mamoiada, in Barbagia, nel cuore della Sardegna, in un piccolo borgo in provincia di Nuoro, terra di profonde tradizioni agricole ed antichi rituali; è questo un luogo celebre per le sue misteriose maschere carnevalesche Mamuthones e Issohadores; qui i vignaioli lavorano poco più di 400 ettari vitati mentre i pastori producono formaggi squisiti lavorando in colli dove antiche vigne di Cannonau e Granazza abbracciano dolcemente luoghi che custodiscono scrigni di storia. Buoni motivi per visitare questa parte interna dell’isola ve ne sono veramente tanti, partire dai suoi vini può essere il viatico ad un mare di scoperte storico-culturali veramente vasto.
A Mamoiada, le estati sono brevi e calde, gli inverni invece lunghi e molto freddi; questi i motivi per i quali ad esempio il caratteristico sistema ad alberello si è qui così diffuso come strumento indispensabile per garantire al meglio la maturazione dei grappoli garantendo loro protezione da tutti gli agenti atmosferici.
Gli appezzamenti di Marco vengono accuratamente lavorati ogni anno per permettere alla pianta di nutrirsi al meglio; dove i filari sono più stretti e i macchinari non possono operare sono addirittura i buoi a sostenere queste operazioni che avvengono in quei stessi vigneti dove, saltuariamente, vengono usati i droni per fare dei trattamenti biologici a supporto delle piante. Un connubio affascinante tra modernità e tradizione che nel 2021 è valso a Marco l’Oscar Green 2021 della Coldiretti nella categoria “Sostenibilità e transizione ecologica”.
Cresciuto seguendo le produzioni fatte a livello famigliare dal padre il progetto di Marco fu avviato ufficialmente nel 2015 con 2.500 bottiglie e l’obiettivo di valorizzare le eccellenze enologiche del suo territorio nel modo più puro e genuino possibile rispettando innanzitutto la terra, lì dove l’intero ciclo del vino ha inizio. Il padre lungimirante ha sempre appoggiato l’approccio innovatore di Marco anteponendo il fare al giudicare, atteggiamento questo tutt’altro che scontato in quella che è la sempre delicata transizione generazionale; Marco, dal canto suo, ha sempre cercato di raccogliere ogni dettaglio dell’arte tramandata ma con propri progetti chiari sul come voler dar risalto ai vitigni storici locali.
La Granazza, ad esempio, è un antico vitigno a bacca bianca che solo da un paio di decenni si vinifica in purezza; un vino amabile, storicamente poco valorizzato che per secoli ha vissuto nell’anonimato. Nella versione più secca, elaborata da Marco, ha trovato i favori del padre prima e di tanti consumatori poi appassionati che condividono con lui la strada intrapresa.
Zimò invece è il nome del suo Cannonau in “versione fresca”, un risultato inedito e pregiato proveniente da vitigni giovani, frutto di una vinificazione che viene fatta in acciaio con fermentazioni naturali ed a temperature controllate per preservare al massimo le componenti aromatiche dell’uva; un vino meno austero del Cannonau tradizionale (comunque presente nella sua linea di vini) ma dove sono l’equilibrio e l’eleganza a diventare tratti distintivi dei quali innamorarsi.
Un modo diverso di esprimere i vini locali che Marco porta avanti con una visione innovativa condivisa anche da altri suoi giovani colleghi di Mamoiada; un approccio enologico il suo che non disconosce la vecchia strada, ma che vuol porre l’accento sullo sfruttare tutto il potenziale della loro materia prima esplorandone anche sue caratteristiche meno considerate in passato.
In Italia, lo sappiamo, essere giovani e propositivi vuol spesso dire dover vincere anche una certa ingiustificata resistenza al cambiamento che non tutti possono avere le spalle di sopportare. Non è il caso di Marco.
Credere nei propri mezzi, nel valore delle proprie idee, fare sistema con chi condivide i tuoi valori, sono tutti buoni punti di partenza per superare le resistenze di un paese che tropo spesso è restio al rinnovamento. Questi sono anche gli insegnamenti più ricorrenti che tante storie di giovani produttori ci stanno raccontando offrendoci il loro percorso come esempio.
Noi di Vinando siamo con Marco e con tutti loro.
Post di: Emanuele Ciot
Con questa storia consiglio:
🎵 Fabrizio De Andrè – Zirichiltaggia (Baddu tundu)
📍 Museo delle Maschere Mediterranee – Mamoiada (AN)