Quando ami un paese come l’Italia, appassionato dalla sua profonda storia, attratto dai territori mozzafiato che la dipingono e ancor più sei rapito da quei vini unici che così spesso ti sa offrire diventa difficile pensare a dei distinguo tra i diversi luoghi che la caratterizzano. Eppure quando si nomina il Piemonte l’attrazione diventa speciale: un prestigio universalmente riconosciuto che è figlio di una cultura e storia profonda nel mondo del vino.
Quella del Piemonte è una storia antica fatta di scoperte, successi, aspri confronti, ricadute e rinascite ma sempre con una vocazione produttiva e una capacità di riconoscere il proprio valore che non è mai venuta meno nel corso del tempo.
E poi lui, “il Re dei vini, il vino dei Re”; sua maestà il Barolo. Solo questo varrebbe la pena di un lungo viaggio in un territorio imprescindibile per ogni vero appassionato di vino.
Ora, immaginate di dover dividere la vostra quotidianità tra Grinzane Cavour e Serralunga d’Alba con la missione di raccogliere l’eredità di tre generazioni e declinarla ai giorni nostri in una visione aziendale fatta di rispetto ma anche innovazione: missione affascinante ma mica facile da sostenere. Certo, chi non vorrebbe provare ad immergersi in una missione di questo tipo, ma farsene poi veramente carico con tutte le responsabilità che ne derivano è diverso e sicuramente non per tutti.
Martina e Simone Fiorino sono tra coloro che ci stanno provando.
La nuova generazione della cantina Bruna Grimaldi è cresciuta nell’esempio insostituibile di papà Franco e mamma Bruna; nell’intervista che segue, gentilmente concessa da Martina, emerge una parte del loro valore che hanno voluto condividere con noi. Per questo, gli siamo infinitamente grati.
Ciao Martina raccontaci qualche cenno sulla vostra storia aziendale e la vostra famiglia.
La nostra azienda si trova a Grinzane Cavour nella parte settentrionale del Barolo e nasce ad opera del nonno Giovanni nel secondo dopoguerra. Grazie al suo operato, negli anni 60, la cantina si evolve da produzione agricola mista a totalmente vinicola iniziando anche la commercializzazione del vino.
Sposando la nonna, di Serralunga d’Alba, il nonno acquisì in dote due ettari di vigneto nella vocata zona di denominazione Badarina che ora ha un grande valore; mia mamma Bruna invece, ha preso in mano l’azienda negli anni 90 iniziando a gestirla con papà Franco.
La storia più recente è fatta di diverse acquisizioni di terreni fatte nella volontà di lavorare solo uve proprie; attualmente abbiamo 14 ha dislocati in 7 comuni diversi tutti volutamente vitati con soli vitigni autoctoni: Arneis, Dolcetto, Barbera e Nebbiolo.
Qual è stato il percorso di studi tuo e di Simone?
Simone è laureato in Viticoltura Enologia ed ha una preparazione tecnica molto specifica mentre io ho fatto il Liceo Scientifico seguito dalla triennale in Amministrazione aziendale con successive esperienze all’estero prima in Svezia e poi a Londra per un’azienda d’importazione vino.
Il Piemonte è l’università del vino italiano e il Barolo la sua eccellenza; per dei giovani come voi quanto questi due valori così alti rappresentano un onere e quanto un onore?
Poter lavorare in questo territorio per noi è prima di tutto una grande fortuna e questo grazie al superbo lavoro di chi ci ha preceduto; penso che noi giovani più che un onere ora abbiamo una grande responsabilità che è quella di proseguire con il dar valore all’insieme delle Langhe portando alto il nome de nostri vini sempre. Come produttori all’interno di una comunità che ha obiettivi comuni l’ambizione è quella di continuare a migliorarci evolvendo e sostenendoci a vicenda.
Il tema della sostenibilità è molto caro alle nuove generazioni ed anche la vostra azienda va in questa direzione; cosa vi spinge a perseguire questo modello di crescita?
La nostra cantina vuole avere un approccio etico in senso lato e cioè in vigna, in cantina ma anche e soprattutto nella gestione delle risorse umane, dei nostri collaboratori; la sostenibilità inoltre deve essere anche economica perché chiaramente nessuno può permettersi di appiattire il profitto in nome di essa. Nello specifico dei giovani penso che questa rappresenti ora più uno stile di vita piuttosto che una filosofia legata a logiche economiche e/o commerciali; vogliamo migliorare ciò che ci è stato lasciato e farlo con dei tratti positivi e concreti, questo è il punto.
Noi vignaioli siamo i primi che ci interfacciamo con la natura, vivendola e prendendocene cura quotidianamente; per il benessere delle piante che alleviamo ed anche per noi stessi, abbiamo bisogno di operare in contesti salubri. I nostri genitori per primi, con il loro fare, ci hanno trasmesso per primi questo approccio di equilibrio uomo-ambiente e noi figli intendiamo proseguire in questo solco che apprezziamo molto.
Quale impatto ha il cambiamento climatico nella vostra attività?
Questo è un tema reale come lo è l’adattamento costante al quale sottoponiamo le nostre vigne; ad esempio, contrariamente al passato sfogliamo meno in estate per prevenire la bruciatura delle uve. Altra conseguenza sono gli inverni sempre più miti con conseguente anticipo della vegetazione oppure la stessa ricaduta improvvisa delle temperature con rischi particolari per le gemme che possono gelare e non portare frutto. Sempre per assecondare l’innalzamento della temperatura favoriamo l’inerbimento tra i filari al fine di mantenere il terreno più fresco oltre che ad evitare l’erosione causata dalle improvvise precipitazioni intense tipiche degli ultimi tempi.
Qual è stato il momento più difficile e quale quello di massima soddisfazione che hai affrontato nel mondo del vino?
Personalmente una mia grande difficoltà è stata accettare del tutto quella propensione al rischio dettata dal “lavorare a cielo aperto” che è parte integrante del nostro lavoro; la grandinata del 5 settembre 2019 ad esempio è ancora un ricordo vivo. Per contro, con riferimento al mio ruolo, sono orgogliosa di quando il cliente apprezza e riesce a percepire la nostra passione ed il racconto dei nostri vini con tutta la loro storia e la cura massima che abbiamo verso questo prodotto per noi unico.
Modernità o tradizione: è questo un vecchio tema nelle Langhe. In quale filosofia si colloca la vostra idea di vino?
Lavoriamo per creare vini autentici, etici (ovvero sostenibili) e territoriali. Quando ad un vitigno come il Nebbiolo viene data l’opportunità di rispettare terroir e specificità dell’annata lì sappiamo che si può esprime al meglio. Il racconto nel vino funziona bene quando non si rimane troppo legati alla definizione di uno stile preciso da raggiungere: ogni diverso versante dei nostri vigneti può offrire esperienze di assaggio diverse e questo è un valore che non vogliamo assolutamente intaccare.
In un nuovo viaggio quale vostro vino metteresti nello zaino per sentirti a casa?
La scelta è difficile ma credo prenderei il Nebbiolo d’Alba. L’espressione elegante ma anche giovane e fresca del vitigno racchiude un piacere di beva che non stanca mai. Il Nebbiolo è sicuramente l’ambasciatore di questo territorio insieme al Dolcetto che, nelle difficoltà del dopoguerra, ha sostenuto la crescita economica di queste terre.
In azienda siete la quarta generazione ognuna delle quali ha segnato un’epoca perseguendo diverse sfide evolutive. Quale vorresti fosse la vostra traccia più evidente?
Consapevoli dell’importanza di quanto fatto finora e nella certezza che vada preservato noi ora vogliamo fare la nostra parte cercando di rafforzare quei valori attuali di sostenibilità, etica e territorialità che crediamo possano farci ancora crescere nel presente e proiettarci nel futuro con basi più solide.
Nel dopoguerra un noto vigneron francese affermò che noi italiani facciamo “vini d’argento con uve dorate mentre loro il contrario”. Può essere ancora attuale questa esternazione?
In Italia il livello qualitativo ormai ha raggiunto livelli eccelsi quindi con i nostri prodotti di vertice non temiamo alcun confronto. Pensando ai vini di Langa, ma vale anche altrove, dove possiamo crescere è nel fare più sistema tra produttori dando centralità ai territori in modo condiviso; le varietà di zona ad esempio rappresentano un valore che potremmo raccontare con maggiore efficacia superando ogni tipo di competizione interna a favore dell’autenticità che ognuno di noi è in grado di poter offrire. Non è “il mio vino” ma “il Barolo”.
In generale, e di positivo, c’è che noi Piemontesi non amiamo compiacerci e per questo cerchiamo sempre di trovare l’aspetto da migliorare: il Barolo moderno è un prodotto più accessibile oggi al consumatore, specie nei suoi primi anni d’età e il lavoro di qualità è altissimo con evoluzioni che, di anno in anno, vengono fatte curando dettagli che sono arrivati a livello micro. Un aspetto però va anteposto ad ogni considerazione: come ricorda sempre mio padre tutto parte dall’avere uva perfetta.
Tre valori chiave trasmessi dai tuoi genitori Bruna e Franco.
Rispetto, onestà e perseveranza. Questi sono i capisaldi con i quali siamo cresciuti io e Simone e per i quali non scenderemo mai a compromessi
Grazie Martina per aver condiviso con noi un frammento del vostro percorso professionale e di vita, un racconto intriso di valori saldi e di sicura ispirazione per le nuove generazioni… 𝗩𝗶𝗻𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗲̀ 𝗰𝗼𝗻 𝘃𝗼𝗶.
Post di: Emanuele Ciot